Bioplastiche: la lenta degradazione nell’ambiente equivale alle ‘plastiche tradizionali’, lo studio sull’inquinamento del CNR

Le bioplastiche, se disperse nell’ambiente, degradano lentamente come le plastiche tradizionali, producendo di conseguenza un inquinamento non indifferente. 

Uno studio del CNR mostra come, al di fuori dei compost industriali, i tempi di degradazione siano paragonabili a quelli delle plastiche “non bio”. Vediamo in questo articolo tutti i dettagli. 

Bioplastiche e degradazione: cosa dice la ricerca scientifica sull’inquinamento dell’ambiente 

Le bioplastiche sono state spesso presentate come una soluzione più sostenibile rispetto alle plastiche tradizionali. Ciò grazie alla loro base organica e, in alcuni casi, alla loro capacità di biodegradarsi. 

Tuttavia, uno studio condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il Distretto Ligure per le Tecnologie Marine, ha evidenziato che queste aspettative potrebbero non essere del tutto accurate. 

I risultati, pubblicati sulla rivista Polymers, mostrano che le bioplastiche disperse nell’ambiente, sia in mare che in terra, hanno tempi di degradazione molto simili a quelli delle plastiche non biodegradabili.

Le bioplastiche includono una vasta gamma di materiali con diverse proprietà e applicazioni. 

Secondo European Bioplastics, un materiale viene definito bioplastica se è costituito almeno in parte da risorse organiche, se è biodegradabile o se possiede entrambe queste caratteristiche. 

Un esempio comune di bioplastica è il PLA (acido polilattico), ottenuto da zuccheri estratti da mais, canna da zucchero o cellulosa. Altri tipi includono PBAT (polibutirrato adipato tereftalato), anch’esso considerato biodegradabile.

Tuttavia, il prefisso “bio” non garantisce una rapida degradazione nell’ambiente naturale. Come ha dimostrato lo studio del CNR, queste plastiche richiedono specifiche condizioni per decomporre correttamente. 

Ovvero come quelle presenti negli impianti di compostaggio industriale, dove fattori come la temperatura e l’umidità sono attentamente controllati.

Lo studio del CNR: tempi di degradazione delle bioplastiche

Lo studio di cui sopra ha preso in esame due polimeri plastici tradizionali, HDPE (polietilene ad alta densità) e PP (polipropilene), comunemente utilizzati nella produzione di imballaggi e articoli di uso quotidiano. 

Questi sono stati confrontati con due polimeri biodegradabili, PLA e PBAT, per capire meglio le differenze nei tempi di degradazione. I campioni di questi materiali sono stati inseriti in gabbie speciali, collocate sia nella sabbia che in ambiente marino, e lasciati lì per sei mesi. 

Dunque lo stesso periodo entro cui le bioplastiche dovrebbero degradarsi completamente negli impianti di compostaggio industriale.

L’esperimento si è svolto nella Baia di Santa Teresa, nel Golfo della Spezia, dove i campioni sono stati posizionati a circa 10 metri di profondità, grazie a una piattaforma di monitoraggio ambientale chiamata “Stazione Costiera del Lab Mare”. 

Al termine dei sei mesi, i ricercatori hanno raccolto i campioni per sottoporli a diverse analisi chimiche, spettroscopiche e termiche, al fine di valutare lo stato di degradazione.

I risultati dello studio hanno evidenziato come le bioplastiche, in condizioni ambientali naturali, abbiano tempi di degradazione estremamente lunghi. In alcuni casi, i tempi erano paragonabili a quelli delle plastiche “non biodegradabili”. 

Questo significa che, una volta disperse nell’ambiente, le bioplastiche non si degradano in tempi brevi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. 

La degradazione avviene in maniera significativa solo quando le bioplastiche vengono conferite in impianti di compostaggio industriali, dove le condizioni sono ottimali.

In altre parole, la differenza tra plastica tradizionale e bioplastica, se entrambe esposte all’ambiente naturale, è minima in termini di degradazione. 

Questo aspetto mette in discussione l’idea comune che le bioplastiche siano intrinsecamente meno dannose per l’ambiente se non smaltite correttamente.

Impatti ambientali e consapevolezza

Silvia Merlino, ricercatrice e coordinatrice del progetto, ha sottolineato l’importanza di essere consapevoli dei rischi che le bioplastiche pongono per l’ambiente se non gestite correttamente: 

“Data l’altissima diffusione di questi materiali, è cruciale informare correttamente gli utenti sui rischi ambientali che derivano dalla dispersione di bioplastiche o dal loro smaltimento inadeguato.” 

L’informazione corretta e la sensibilizzazione sull’uso delle bioplastiche sono fondamentali per ridurre l’impatto ambientale negativo.

In altre parole, l’idea che le bioplastiche siano una soluzione facile e rapida al problema dell’inquinamento da plastica è stata in parte sfatata da questo studio. 

Mentre il loro impiego in contesti controllati e il conferimento nei compost industriali possono ridurre l’impatto ambientale, la loro dispersione nell’ambiente presenta problemi analoghi a quelli delle plastiche tradizionali.

Le bioplastiche non sono una soluzione definitiva se non accompagnate da una corretta gestione dei rifiuti e da politiche di sensibilizzazione. Il rischio di inquinamento ambientale rimane elevato se non vengono seguiti corretti protocolli di smaltimento. 

In un contesto di crescente attenzione alla sostenibilità, questo studio sottolinea l’importanza di guardare oltre la semplice etichetta “bio” e di considerare attentamente l’intero ciclo di vita dei materiali.

Ingegnere Ambientale