La nuova era della raccolta differenziata: cosa prevede il D.Lgs. 116/2020 in merito ai rifiuti urbani?

Con il D.Lgs. 116/2020 è cambiata radicalmente la gestione dei rifiuti urbani: obblighi precisi per la raccolta differenziata e traguardi ambiziosi di riciclo pongono Comuni e cittadini di fronte a nuove responsabilità ambientali.

Vediamo in questo articolo tutti i dettagli. 

Obblighi nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani per Comuni e cittadini: più riciclo, meno discariche

Entrato in vigore il 26 settembre 2020, il Decreto Legislativo n. 116/2020 ha rappresentato un punto di svolta nel sistema italiano di gestione dei rifiuti. 

Il provvedimento recepisce la Direttiva 2018/851/UE, parte del “Pacchetto economia circolare” dell’Unione Europea, e modifica profondamente il Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006). 

Tra le principali novità, l’obbligo di raccolta differenziata per tutti i rifiuti urbani, con particolare attenzione a quelli organici e tessili.

Dal 1° gennaio 2022, infatti, i Comuni sono obbligati a organizzare la raccolta separata dei rifiuti organici (articolo 182-ter) e dei rifiuti tessili (articolo 205, comma 6-quater), entrambi inseriti nel Codice ambientale proprio grazie al D.Lgs. 116/2020. 

Questi flussi devono essere trattati in maniera autonoma, evitando la commistione con altri rifiuti, anche grazie all’uso di contenitori riutilizzabili e sacchetti compostabili.

Per i rifiuti organici, il decreto prevede che possano essere conferiti anche materiali biodegradabili e compostabili certificati secondo le norme EN 13432 o EN 14995, purché siano etichettati e tracciabili, almeno fino al 31 dicembre 2023. 

L’obiettivo è garantire una separazione efficace, capace di preservare la qualità del materiale destinato al compostaggio e ridurre i conferimenti in discarica.

Obiettivi europei: 65% di riciclo e meno discariche entro il 2035

Ad ogni modo, la riforma non si limita a introdurre obblighi di separazione, ma stabilisce anche precisi obiettivi di riciclo, con scadenze temporali vincolanti. Il D.Lgs. 116/2020 ha infatti incorporato nel diritto nazionale quanto previsto dalla direttiva 2018/851/UE. 

Ovvero che i rifiuti urbani dovranno essere preparati per il riutilizzo e riciclati in misura pari almeno al 55% entro il 2025, al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035 (in peso).

Tali percentuali si riferiscono all’intero sistema Paese e implicano un potenziamento generale della raccolta differenziata, nonché investimenti in impianti di trattamento e strategie di sensibilizzazione. 

Allo stesso tempo, per fronteggiare eventuali difficoltà, la normativa europea ha previsto strumenti di flessibilità. 

Gli Stati membri possono posticipare gli obiettivi fino a cinque anni, purché resti garantito almeno il 50% di raggiungimento nei tempi originari e siano rispettati specifici criteri di rendicontazione e trasparenza.

Oltre agli obiettivi di riciclo, il “Pacchetto economia circolare” ha introdotto anche limiti stringenti per l’uso della discarica. 

La direttiva 2018/850/UE, recepita in Italia con il D.Lgs. 121/2020, stabilisce che dal 2030 sarà vietato collocare in discarica i rifiuti urbani che possono essere riciclati o recuperati, salvo eccezioni per motivi ambientali documentati. 

Inoltre, entro il 2035, la quota di rifiuti urbani collocati in discarica dovrà essere ridotta a un massimo del 10% rispetto al totale prodotto.

Per assicurare il rispetto di questi limiti, il legislatore ha previsto anche la possibilità per gli Stati membri di ottenere proroghe di cinque anni, a patto che entro il 2035 non si superi il 25% di conferimenti in discarica. 

Il futuro della gestione rifiuti: verso un’economia circolare reale

Si sottolinea che il D.Lgs. 116/2020 si inserisce in una cornice strategica molto più ampia: quella del Green Deal europeo e del nuovo Piano d’Azione per l’economia circolare. 

L’obiettivo ultimo è quello di trasformare radicalmente il ciclo dei materiali, limitando al minimo gli sprechi e incentivando la rigenerazione delle risorse.

In questo contesto, l’Unione Europea ha già annunciato una nuova revisione della direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), che potrebbe includere obiettivi ancora più ambiziosi, come la riduzione del 50% dei rifiuti urbani residui non riciclati entro il 2030. 

Una misura di questo tipo imporrebbe un ulteriore rafforzamento delle politiche locali, regionali e nazionali in tema di prevenzione, riuso e riciclo.

Inoltre, il nuovo approccio normativo punta a una responsabilizzazione crescente degli enti locali. 

I Comuni, infatti, non sono più semplici esecutori delle politiche ambientali, ma attori centrali nella pianificazione dei servizi, nella promozione dell’educazione ambientale e nella gestione dei flussi differenziati. 

Per far fronte agli obblighi introdotti, sarà fondamentale rafforzare i centri di raccolta, migliorare la logistica dei servizi porta a porta e digitalizzare il monitoraggio dei rifiuti. Parallelamente, le imprese sono chiamate a innovare nella direzione della sostenibilità. 

La progettazione ecocompatibile, la scelta di materiali riciclabili e la riduzione degli imballaggi diventano fattori chiave, non solo per l’adempimento normativo, ma anche per la competitività economica. 

In questo scenario, il principio “chi inquina paga” si rafforza e si traduce anche in incentivi per chi riduce l’impatto ambientale.